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PROMESSA DI PAGAMENTO ED ONERE DELLA PROVA - CASS. SENT. N. 17423 DEL 08.08.2007

Svolgimento del processo

Con ricorso del 4.1.2001 S.S. conveniva dinanzi al Giudice del lavoro del Tribunale di Trento la s.n.c. C. S. e P.A., nonchè questi ultimi in proprio e, premettendo che aveva svolto dal 1.1.1991 al 31.5.1994 l'incarico di subagente per conto dei convenuti, quali agenti della Agenzia generale INA - Assitalia e dal 1.6.1994 al 31.12.1999 di agente principale nell'ambito dei comuni di Primiero, Canai san Bovo, Imer, Mezzano, Sagron Mis, Siror, Tonadico e Transacqua chiedeva la condanna dei convenuti in solido, in via principale alla corresponsione dell'indennità di fine rapporto, prevista dall'art. 28 dell'accordo di settore, dell'indennità di premio di gara, nonchè delle provvigioni maturate e maturande, relative all'anno 1999, ed in via subordinata, per l'ipotesi che per il primo periodo fosse accertato che essa ricorrente aveva svolto l'incarico di produttore, la condanna al pagamento dell'indennità di fine rapporto, prevista dall'accordo nazionale del settore suddetto, oltre al rimborso delle spese.

Si costituivano le parti convenute chiedendo in via principale il rigetto delle domande della ricorrente.

In particolare deducevano la infondatezza della domanda relativa al pagamento della indennità di fine rapporto, siccome non dovuta, per essere la ricorrente receduta ad nutum dal rapporto, sic et simpliciter, e cioè senza giusta causa.

In via subordinata chiedevano che la condanna al pagamento della indennità suddetta fosse limitata al periodo 1.6.1994/31.12.1999 (per aver la S. svolto nel precedente periodo 1.1.1991/31.5.1994 mansioni di produttore) e nell'importo di L. 13.552.000, già offerto in via stragiudiziale dall'Agenzia di Trento, con lettera 26.1.2000, contestando, peraltro, che alla medesima potesse attribuirsi la valenza di un riconoscimento della pretesa di controparte.

In corso di causa i convenuti corrispondevano alla ricorrente la somma di L. 1.632.048, accettata da quest'ultima come acconto.

Con sentenza parziale n. 190 del 2001 il Giudice del Lavoro del Tribunale di Trento rigettava il capo di domanda della ricorrente relativo al pagamento della indennità di fine rapporto, disponendo, con separata ordinanza, c.t.u. al fine di accertare gli importi ad essa spettanti per gli altri due titoli azionati, con i relativi accessori.

All'esito, con sentenza n. 174 del 2002 il giudice condannava le parti convenute al pagamento in favore della ricorrente, a titolo di capitale, della residua somma di L. 457.353, pari ad Euro 236,20, con le statuizioni accessorie di legge, compensando interamente tra le parti le spese del giudizio.

Avverso tali sentenze proponeva ritualmente appello la S. con ricorso del 24.9.2003, chiedendo la riforma della sentenza parziale suddetta, nella parte in cui aveva rigettato la domanda di pagamento dell'indennità di fine rapporto, nonchè della sentenza definitiva, limitatamente alla statuizione relativa alla compensazione delle spese di lite, assumendone la erroneità Dal canto loro gli appellati resistevano chiedendo il rigetto del gravame ed avanzavano appello incidentale in ordine al capo della sentenza definitiva, che aveva disposto la compensazione delle spese di lite.

Con sentenza depositata l'11.2.2004 la Corte di Appello di Trento in parziale accoglimento dell'appello principale liquidava le spese di grado in Euro 2.650,80 (di cui Euro 880,80 di diritti e Euro 1.370,00 di onorari), oltre accessori di legge, e condannava i convenuti appellati in solido a rifonderne la metà alla S. con compensazione della residua metà; rigettava per il resto l'appello principale stesso nonchè quello incidentale e compensava interamente tra le parti le spese del grado.

In sintesi, la Corte escludeva che alla lettera del 26.1.2000 potesse attribuirsi l'efficacia probatoria di cui all'art. 2730 c.c. e riteneva che la stessa, in concreto neppure integrava una promessa di pagamento o una ricognizione di un debito, stante la prova contraria emersa, alla luce della corretta lettura della normativa di legge e contrattuale in materia di indennità di fine rapporto.

La Corte inoltre, considerato l'esito della lite, riteneva giusto compensare per metà le spese di primo grado.

Per la Cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la S. con quattro motivi.

La Agenzia Generale di Trento I.N.A. Assitalia di Corradini e Pujia s.n.c., nonchè P.A. e C.S. in proprio hanno resistito con controricorso ed hanno proposto ricorso incidentale chiedendo "la cassazione della sentenza di secondo grado, senza rinvio, unicamente in ordine alla statuizione relativa alla parziale condanna dei resistenti al pagamento delle spese del primo grado di giudizio oltre che circa la compensazione delle spese del secondo grado" ed avanzando altresì, nelle conclusioni, varie richieste subordinate, "per la denegata ipotesi in cui la Corte di Cassazione ritenesse fondato il ricorso" della S., riguardanti il periodo rilevante ai fini della determinazione del diritto all'indennità di fine rapporto (dal 6/94 al 12/99 o dal 1/91 al 12/99) e la quantificazione delle somme eventualmente dovute.

La S., dal canto suo, ha resistito al ricorso incidentale con proprio controricorso ed ha altresì depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi avverso la stessa sentenza ex art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo del ricorso principale la S., denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 2730 c.c. e vizio di motivazione, censura la impugnata sentenza nel punto ove ha negato valore di confessione stragiudiziale alla lettera del 26.1.2000 dell'Agenzia Generale di Trento, con la quale, "come previsto dall'Accordo Nazionale Agenti e Sub-agenti INA-Assitalia", le veniva rimessa "la quantificazione relativa alle indennità così come tassativamente elencate all'art. 28 del relativo accordo".

In sostanza la ricorrente principale deduce che tale dichiarazione non verteva affatto "sulla interpretazione giuridica di una clausola, ma sul riconoscimento esplicito della sussistenza delle condizioni necessarie per il godimento di un determinato diritto", in quanto la dichiarante "nel quantificare la somma di cui alla missiva ... ha espressamente riconosciuto la sussistenza di tutti i requisiti previsti dalla contrattazione collettiva per la concessione della indennità di fine rapporto, anche nel caso concreto".

Peraltro, la motivazione dell'impugnata sentenza secondo la S. sarebbe "del tutto insufficiente, non avendo il Giudice congruamente motivato la decisione assunta, soprattutto con riferimento alle plurime argomentazioni addotte dall'appellante".

Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

Innanzitutto, come questa Corte ha più volte affermato, deve qui ribadirsi il principio secondo cui l'indagine volta a stabilire se una dichiarazione costituisca o meno confessione si risolve in un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità, ove lo stesso sia fondato su una motivazione immune da vizi logici (v. fra le altre Cass. sez. 2^ 27.9.2000 n. 12803, Cass. sez. lav. 12.6.1985 n. 3524, Cass. sez. 3^ 24.11.1981 n. 6246).

Inoltre, in base al costante indirizzo di legittimità, la confessione, giudiziale o stragiudiziale, richiede una esplicita dichiarazione della parte o del suo rappresentante in ordine alla verità di fatti ad essa sfavorevoli o favorevoli all'altra parte, e, pertanto, pur potendo desumersi da un comportamento o da fatti concludenti, non può consistere in una dichiarazione solo implicitamente o indirettamente ammissiva dei fatti in discussione, che resta utilizzabile quale elemento meramente presuntivo od indiziario (v. Cass. sez. 2^ 26.5.1992 n. 6301, Cass. sez. 2^ 6.6.2006 n. 13212).

Nella fattispecie, la impugnata sentenza, confermando sul punto la pronuncia di primo grado, ha osservato che alla comunicazione del 26.1.2000 "non può essere attribuita efficacia di una confessione stragiudiziale, non avendo ad oggetto fatti, ma soltanto opinioni o valutazioni di ordine giuridico ... e ciò in quanto il richiamo contenuto nella lettera suddetta all'art. 28 dell'accordo nazionale agenti, e sub-agenti INA - Assitalia, non costituisce l'ammissione di un fatto, e cioè una dichiarazione di scienza, rappresentando solamente l'interpretazione giuridica di una clausola contrattuale: di talchè non può, a tale atto, attribuirsi l'efficacia probatoria di cui all'art. 2730 c.c.".

Orbene la censura di cui al motivo in esame, investendo direttamente l'apprezzamento di fatto circa il contenuto ed il significato della dichiarazione de qua, in sostanza richiede a questa Corte un inammissibile riesame del merito, laddove la decisione, sul punto, della sentenza impugnata si è attenuta ai principi sopra richiamati, con una motivazione congrua e priva di vizi logici.

Peraltro la ricorrente neppure specifica quali siano le "plurime argomentazioni addotte dall'appellante" che sarebbero state trascurate dalla Corte di merito.

Con il secondo motivo la S., denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 1988 c.c. e vizio di motivazione, deduce che erroneamente e contraddittoriamente la Corte d'Appello ha ritenuto che "la prova della non debenza dell'indennità sia stata fornita dagli appellati e sia rinvenibile nella "corretta lettura" delle norme in materia, ossia la prova sarebbe fornita dalla interpretazione normativa e contrattuale data dalla parte".

Al riguardo osserva che "la norma di cui all'art. 1988 c.c. ... come correttamente interpretata, impone che la prova contraria abbia ad oggetto dei fatti, così come d'altro canto accade per ogni tipo di prova, che non può avere ad oggetto interpretazioni giuridiche, per stessa definizione insuscettibili di dimostrazione pratica".

Il motivo è fondato.

In tema di promessa di pagamento e di ricognizione di debito, risulta superata la configurazione tradizionale in termini di "negozi unilaterali obbligatori", invalsa nei manuali sulla scorta della Relazione al codice (n. 782), ed il dibattito si incentra, soprattutto in dottrina, sulla natura di dichiarazioni di volontà o di scienza degli atti stessi (anche al di là della terminologia adottata), comunque accomunati dallo stesso rilievo sul piano degli effetti, sul terreno processuale ed in particolare probatorio, riservato dall'art. 1988 c.c., ad entrambe le "contro se pronuntiationes" in esame.

La norma prescrive testualmente che "la promessa di pagamento o la ricognizione di un debito dispensa colui a favore del quale è fatta dall'onere di provare il rapporto fondamentale "e precisa che "l'esistenza di questo si presume fino a prova contraria".

Secondo l'indirizzo consolidato dettato da questa Corte "la promessa di pagamento, al pari della ricognizione di debito, non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma ha soltanto effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, venendo a operarsi un'astrazione meramente processuale della "causa debendi" comportante una semplice "relevatio ab onere probandi" per la quale il destinatario della promessa è dispensato dall'onere di provare l'esistenza del rapporto fondamentale, che si presume sino a prova contraria" (v. fra le altre Cass. sez. 3^ 5.7.2004 n. 12292, Cass. sez. 3^ 25.11.2003 n. 17915, Cass. sez. 3^ 1.8.2002 n. 11426, Cass. sez. 2^ 22.8.2006 n. 18259, Cass. sez. 2^ 14.1.1997 n. 280, e, in particolare, sul diverso atteggiarsi dell'onere probatorio, in caso di promessa di pagamento titolata, a seconda che il rapporto fondamentale risulti già svoltosi o infierì, v. Cass. sez. 3^ 17.3.1993 n. 3173).

In tale quadro, peraltro, dovendo presumersi, appunto, sul piano processuale, la "esistenza del rapporto fondamentale", intesa in concreto e sub specie facti (in base ai principi generali espressi negli artt. 2727 e 2697 c.c., secondo i quali oggetto delle presunzioni e delle prove sono soltanto i fatti), ritiene il Collegio che anche la prevista "prova contraria" non possa che riguardare la sussistenza o meno dei fatti, siano essi costitutivi o modificativi o estintivi del diritto, e non una pretesa diversa interpretazione della normativa, in specie contrattuale, concernente il diritto stesso, prospettata dalla parte.

Tanto basta per accogliere il secondo motivo e cassare con rinvio la impugnata sentenza, la quale, ravvisata nella fattispecie una dichiarazione di cui all'art. 1988 c.c. (in particolare titolata e formulata in data 26-1-2000, a rapporto già svoltosi), ha espressamente rinvenuto la prova contraria de qua nella "corretta lettura" della normativa relativa, contenuta in particolare nell'accordo nazionale agenti e sub-agenti INA-Assitalia del 27.11.1986.

La Corte designata in dispositivo, nel riesame del caso, si atterrà ai principi sopra richiamati e provvedere anche sulle spese.

Così cassata la impugnata sentenza, restano assorbiti il terzo e il quarto motivo del ricorso principale, l'uno riguardante la interpretazione del citato accordo nazionale e l'altro concernente la pronuncia sulle spese, nonchè il ricorso incidentale dei controricorrenti, del pari sul capo delle spese, mentre le difese e richieste subordinate avanzate da questi ultimi (non trattate nell'impugnata sentenza) potranno essere riproposte dinanzi al giudice del rinvio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il secondo motivo, rigetta il primo, assorbiti il terzo e il quarto del ricorso principale;

dichiara assorbito il ricorso incidentale; cassa la impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Brescia anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 17 maggio 2007.

Depositato in Cancelleria il 8 agosto 2007

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