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AUTONOMIA DELLA DOMANDA RICONVENZIONALE - CASS. SENT. N. 1666 DEL 29.01.2004

Svolgimento del processo

Con citazione notificata il 3 novembre 1994, M.C. conveniva in giudizio davanti al tribunale di P.L.R.F. per chiedere che venisse emessa sentenza, con la quale si dichiarasse che era proprietario dell'alloggio di edilizia residenziale agevolata, sito in B., ovvero sentenza ex art. 2932 c.c., che producesse gli effetti del contratto di vendita non concluso, sempre relativamente a detto immobile, deducendo, a fondamento della domanda, l'inadempimento del convenuto alle obbligazioni assunte con la scrittura privata in data 5 febbraio 1991; e, precisamente, per avere lo stesso preteso un ingiustificato adeguamento ISTAT di lire 32.000.000, oltre alla riserva di proprietà con diritto di sopraelevazione sul terrazzo di copertura dell'immobile.

Chiedeva anche darsi atto che era disposto a versare banco iudicis il residuo prezzo, nonché la condanna del convenuto al risarcimento dei danni.

Si costituiva L.R.F., il quale, eccepita in via pregiudiziale l'improcedibilità e inammissibilità del giudizio promosso dal M. per violazione dell'art. 705 c.p.c., per la pendenza in fase di merito, dinanzi al pretore di B., del giudizio possessorio da lui promosso per essere reintegrato nel possesso dell'immobile de quo consegnato al M., nonché l'irritualità del sequestro giudiziario dell'immobile stesso richiesto ed ottenuto dall'attore, contestava, nel merito, la fondatezza della domanda, chiedendo, in via riconvenzionale, declaratoria di risoluzione del preliminare di vendita, per avere il M. violato gli obblighi contrattualmente assunti e sanzionati dalla clausola risolutiva espressa contenuta nel contatto o, in subordine, per grave ed irrimediabile suo inadempimento.

Con sentenza del 10-18 maggio 2000, il tribunale convalidava il sequestro giudiziario dell'alloggio, concesso, su ricorso dell'attore, con ordinanza del 14 gennaio 1995, e trasferiva allo stesso la proprietà (superficiaria) dell'alloggio, sottoponendo il trasferimento alla duplice condizione del rilascio, da parte dell'Assessorato Regionale dei LL.PP., del previsto attestato e dell'integrale pagamento, da parte del M., del residuo prezzo di lire 49.590.857, nonché dell'accollo delle frazioni di mutuo afferenti all'alloggio, pari a complessive lire 79.686.857.

Dichiarava, inoltre, l'estinzione per compensazione dei rispettivi crediti risarcitori delle parti e compensate tra queste le spese processuali.

Proposto appello principale da L.R.F. e incidentale da M.C., la corte di appello di M., con sentenza pubblicata il 27 agosto 2001, in riforma di quella impugnata, ha dichiarato inammissibili le domande petitorie avanzate dal M. nei confronti del L.R., nonché quelle di eguale contenuto formulate, in via riconvenzionale, da quest'ultimo nei confronti del primo, e totalmente compensate tra le parti le spese processuali.

La corte ha così deciso, in quanto ha ritenuto che, nel caso concreto, ed avuto riguardo ai principi enunciati dalla corte costituzionale nella sent. n. 25 del 1992, il M., in pendenza del procedimento possessorio promosso dal L.R. per essere reintegrato nel possesso dell'immobile da esso M. detenuto, non avrebbe potuto promuovere il giudizio petitorio per farsi trasferire la proprietà dell'immobile medesimo in virtù della scrittura del 5 febbraio 1991, ostandovi il divieto di cui all'art. 705 c.p.c.

Non è ipotizzabile, infatti, secondo la corte di appello, che il M. potesse subire un pregiudizio irreparabile, in conseguenza di una pronuncia eventualmente favorevole a L.R., all'esito del giudizio possessorio promosso da quest'ultimo e dell'esecuzione della relativa sentenza.

Dalla improponibilità a causa del divieto di cui alla predetta norma delle domande azionate dal M. nei confronti del L.R. discende logicamente, sempre secondo la corte, anche l'inammissibilità della domanda di risoluzione del contratto formulata dal secondo nei confronti del primo, nonché delle altre domande accessorie di risarcimento dei danni rispettivamente avanzate da una parte nei confronti dell'altra.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza L.R.F., deducendo un unico motivo di gravame.

Ha resistito con controricorso M.C., proponendo, a sua volta, ricorso incidentale per tre motivi.

Con ordinanza del 23 ottobre 2002 è stata ordinata la rinnovazione della notifica del controricorso e ricorso incidentale, cui è seguita l'istanza di revoca, da parte del L.R., dell'ordinanza medesima ex art. 176 c.p.c., nonché controricorso al ricorso incidentale.

Motivi della decisione

Si osserva, innanzitutto, che l'istanza di L.R.F. per la revoca dell'ordinanza di questa Corte, con la quale è stata disposta la rinnovazione della notifica del controricorso e del ricorso incidentale di M.C., non è meritevole di accoglimento, in quanto, configurandosi, nella fattispecie, un caso di nullità, e non di inesistenza della notifica, è stato possibile porvi rimedio, disponendosi appunto la rinnovazione di questa.

L'adottata soluzione è consentita, infatti, secondo la giurisprudenza di questo Supremo Collegio, tutte le volte che, rimanendo identico il difensore della parte nel giudizio di appello ed in quello di Cassazione, risulti, dalla relata di notifica dell'atto di impugnazione, un collegamento tra luogo in cui questa è stata effettivamente notificata e luogo in cui avrebbe dovuto essere ritualmente notificata ex artt. 366, 370 e 371 c.p.c.; di tal che, stante l'identità di "difensore, parte ed affare" nel giudizio a quo ed in quello ad quem, possa fondatamente ritenersi che il primo sia venuto a conoscenza della proposta impugnazione (ved. sent. n. 1944/99).

Ora, nel caso che ne occupa, è fuor di dubbio che esista un siffatto collegamento, posto che la notifica del controricorso, contenente anche il ricorso incidentale del M., è stata eseguita nel domicilio eletto dal difensore del ricorrente L.R., Avv. Basilio Librizzi, per il giudizio di appello, e non nel domicilio eletto dallo stesso difensore per il presente giudizio di Cassazione, e, pertanto, in conformità al ricordato indirizzo giurisprudenziale, è stata disposta la rinnovazione della notifica del predetto atto, eseguita, questa volta, ritualmente presso il domicilio eletto del difensore in Roma.

Cionondimeno il ricorso incidentale è inammissibile, in quanto, per un verso, è illeggibile e, per altro verso, è mancante del tutto dell'esposizione degli altri motivi, oltre al primo, in cui si articola (art. 366 c.p.c., n. 4).

È fondato, invece, il ricorso principale di L.R.F.

Con l'unico motivo di gravame il ricorrente denuncia "violazione degli artt. 36 e 705 c.p.c. e vizi di motivazione" della sentenza impugnata, per avere la corte di appello ritenuto erroneamente inammissibili le domande riconvenzionali da lui proposte, per la declaratoria di risoluzione del contratto preliminare e per il risarcimento dei danni, in conseguenza della dichiarata inammissibilità della domanda petitoria proposta dal M., e per non essersi, quindi, pronunciata sulle prime, atteso il loro carattere autonomo rispetto a quelle dell'attore; e, per il motivo, inoltre, che il divieto imposto dall'art. 705 c.p.c. è riferito soltanto al convenuto, mentre esso ricorrente era attore nel giudizio possessorio. La censura coglie nel segno.

Dalla sentenza impugnata risulta che, nel costituirsi nel giudizio promosso dal M., l'odierno ricorrente chiedeva, tra l'altro, in via riconvenzionale, declaratoria di risoluzione del contratto preliminare di vendita o, in subordine, per grave ed irrimediabile inadempimento dell'attore.

Il tribunale accoglieva la domanda di quest'ultimo, di trasferimento della proprietà (superficiaria) dell'alloggio di cui al predetto contratto preliminare, mentre dichiarava l'estinzione per compensazione dei rispettivi crediti risarcitori delle parti.

A sua volta, la corte territoriale, pronunciando sull'appello principale del L.R. e su quello incidentale del M., ha dichiarato inammissibili le domande petitorie avanzate dal secondo, nonché quelle di eguale contenuto formulate, in via riconvenzionale, dal primo, motivando la decisione, per quanto riguarda il rigetto di queste ultime, che solo qui interessa, con l'argomentazione che dalla improponibilità ex art. 705 c.p.c. della domanda petitoria proposta dal M., in pendenza del giudizio possessorio promosso da L.R., discende logicamente l'inammissibilità anche della domanda di risoluzione del contratto preliminare formulata da quest'ultimo, nonché delle altre domande accessorie di risarcimento danni rispettivamente avanzate da una parte nei confronti dell'altra.

La statuizione è errata sotto un duplice profilo.

È errata, innanzitutto, perché la corte ha dichiarato inammissibili le domande riconvenzionali proposte da L.R., in conseguenza della declaratoria di inammissibilità di quelle proposte dal M. , mentre, avendo le prime carattere autonomo, avrebbero dovuto essere decise indipendentemente dalla sorte delle seconde (sent. n. 10043/91, n. 1742/79).

Ma ha anche errato, la corte, per non avere correttamente applicato l'art. 705 c.p.c., in quanto il divieto in esso previsto di proporre giudizio petitorio - con la deroga, peraltro, di cui alla nota sentenza della Corte Costituzionale n. 25 del 3 febbraio 1992 - opera espressamente solo nei confronti del convenuto nel giudizio possessorio, che nella fattispecie in esame è il M., e non nei confronti del L.R., che invece è l'attore (sent. n. 4810/98, n. 5110/98); di tal che la corte, ancora una volta, non avrebbe potuto esimersi dal pronunciarsi sulle domande di L.R.F.

Il ricorso, pertanto, deve essere accolto/ con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla corte di appello di Catania.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso incidentale, accoglie il ricorso principale, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Catania.

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2003.