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art. 275 c.p.p. - Criteri di scelta delle misure

art. 275 c.p.p. - Nel disporre le misure, il giudice tiene conto della specifica idoneità di ciascuna in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto.

Contestualmente ad una sentenza di condanna, l'esame delle esigenze cautelari è condotto tenendo conto anche dell'esito del procedimento, delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti, dai quali possa emergere che, a seguito della sentenza, risulta taluna delle esigenze indicate nell'articolo 274, comma 1, lettere b) e c).

Ogni misura deve essere proporzionata all'entità del fatto e alla sanzione che sia stata o si ritiene possa essere irrogata.

Non può essere disposta la misura della custodia cautelare se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena.

Nei casi di condanna di appello le misure cautelari personali sono sempre disposte, contestualmente alla sentenza, quando, all'esito dell'esame condotto a norma del comma 1-bis, risultano sussistere esigenze cautelari previste dall'articolo 274 e la condanna riguarda uno dei delitti previsti dall'articolo 380, comma 1, e questo risulta commesso da soggetto condannato nei cinque anni precedenti per delitti della stessa indole.

La custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata. Quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, nonché in ordine ai delitti di cui agli articoli 575, 600-bis, primo comma, 600-ter, escluso il quarto comma, e 600-quinquies del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari. Le disposizioni di cui al periodo precedente si applicano anche in ordine ai delitti previsti dagli articoli 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice penale, salvo che ricorrano le circostanze attenuanti dagli stessi contemplate.

Quando imputati siano donna incinta o madre di prole di età non superiore a sei anni con lei convivente, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, non può essere disposta né mantenuta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Non può essere disposta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, quando imputato sia persona che ha superato l'età di settanta anni.

Non può essere disposta né mantenuta la custodia cautelare in carcere quando l'imputato è persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria accertate ai sensi dell'articolo 286-bis, comma 2, ovvero da altra malattia particolarmente grave, per effetto della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione e comunque tali da non consentire adeguate cure in caso di detenzione in carcere.

Nell'ipotesi di cui al comma 4-bis, se sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza e la custodia cautelare presso idonee strutture sanitarie penitenziarie non è possibile senza pregiudizio per la salute dell'imputato o di quella degli altri detenuti, il giudice dispone la misura degli arresti domiciliari presso un luogo di cura o di assistenza o di accoglienza. Se l'imputato è persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria, gli arresti domiciliari possono essere disposti presso le unità operative di malattie infettive ospedaliere ed universitarie o da altre unità operative prevalentemente impegnate secondo i piani regionali nell'assistenza ai casi di AIDS, ovvero presso una residenza collettiva o casa alloggio di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 5 giugno 1990, n. 135.

Il giudice può comunque disporre la custodia cautelare in carcere qualora il soggetto risulti imputato o sia stato sottoposto ad altra misura cautelare per uno dei delitti previsti dall'articolo 380, relativamente a fatti commessi dopo l'applicazione delle misure disposte ai sensi dei commi 4-bis e 4-ter. In tal caso il giudice dispone che l'imputato venga condotto in un istituto dotato di reparto attrezzato per la cura e l'assistenza necessarie.

La custodia cautelare in carcere non può comunque essere disposta o mantenuta quando la malattia si trova in una fase così avanzata da non rispondere più, secondo le certificazioni del servizio sanitario penitenziario o esterno, ai trattamenti disponibili e alle terapie curative.
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Giurisprudenza sull'art. 275 c.p.p.
Cassazione, massima sentenza n. 795 del 15.05.1996
In tema di provvedimenti coercitivi, la "ratio" della limitazione al potere del giudice di scegliere la misura cautelare personale, introdotta dall'art. 5 della legge 8 agosto 1995 n. 332, che ha modificato l'art. 275 c.p.p., quarto comma, secondo cui non può essere disposta la custodia cautelare in carcere, salvo casi eccezionali, quando imputati siano donna incinta o madre di prole di età inferiore ai tre anni con lei convivente, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, va individuata nell'avvertita esigenza di garantire ai figli l'assistenza familiare in un momento particolarmente significativo e qualificante della loro formazione fisica e, soprattutto, psichica, qual'è quello fino ai tre anni; con il superamento di tale limite di età può, infatti, considerarsi concluso il primo e più importante ciclo formativo ed aperto uno nuovo, nel quale le esigenze della prole possono essere soddisfatte da un qualsiasi altro congiunto ed, all'occorrenza, dai pubblici istituti a ciò deputati. Non è pertanto consentito interpretare estensivamente la norma fino a ricomprendere nel divieto ivi previsto ulteriori ipotesi, non espressamente contemplate, in cui si deduca la necessità, da parte dell'indagato, di prestare assistenza a familiari diversi da quelli indicati nella disposizione predetta.

Cassazione, massima sentenza n. 35202 del 21.10.2002
È possibile, successivamente a una condanna, l'applicazione di una misura cautelare personale, in quanto la disposizione dell'art. 275 c.p.p., comma 1.bis, secondo la quale contestualmente a una sentenza di condanna l'esame delle esigenze cautelari è condotto tenendo conto anche dell'esito del procedimento, delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti dai quali possa emergere che a seguito della sentenza risulta taluna delle esigenze indicate nell'art. 274 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), non ha inteso consentire l'applicazione di una misura cautelare in fase dibattimentale soltanto contemporaneamente a una decisione di condanna, lasciando prive di tutela le esigenze cautelari sopravvenute a quest'ultima e quelle preesistenti ma non valutate, bensì solo richiamare l'attenzione del giudice sulla possibilità di tenere conto, già contestualmente alla condanna, dell'esito del procedimento, ma senza impedire che tale valutazione possa avvenire anche successivamente ad essa.

Cassazione, massima sentenza n. 4746 del 13.01.2011
In tema di misure cautelari, il giudice di appello che pronunci sentenza di condanna, fuori dai casi di applicazione obbligatoria previsti dall'art. 275, comma secondo.ter, c.p.p., deve valutare discrezionalmente la necessità o meno di disporre la custodia cautelare, in base ai criteri definiti dal comma primo.bis della stessa norma, non diversamente da quanto può fare il giudice di primo grado.

Cassazione, massima sentenza n. 916 del 18.03.1992
In tema di cautela processuale, il nuovo codice di procedura penale (art. 275 c.p.p., secondo comma, in relazione all'art. 273 c.p.p., secondo comma, ) stabilisce il principio di proporzionalità che impone uno sbarramento alla possibilità di applicazione di misure cautelari quando vengono meno elementi per la punibilità. La sussistenza della causa impeditiva va intesa non già come operativa "ab origine", ma semplicemente come sussistenza dei presupposti per la relativa applicazione, tale quindi da rendere sproporzionata la misura. A tal fine, rileva pertanto anche la possibilità di sospensione condizionale della pena. In tale valutazione, il giudice deve innanzi tutto determinare in concreto l'entità della pena presumibilmente irrogabile e poi verificare se, nel caso di specie, possa essere concesso il beneficio, nel senso della ricorrenza dei presupposti oggettivi e soggettivi ed infine effettuare una prognosi in ordine al comportamento futuro dell'imputato.

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